La Difesa personale

La difesa personale che viene insegnata alla Dai Shin Do accomuna tecniche di varie arti marziali. E’ rivolta a tutti coloro che hanno deciso d’imparare a difendersi (indipendentemente dall'età e dal sesso) anche senza particolari doti fisiche.

Prevede un  programma di tecniche che possono essere sfruttate in più situazioni rimanendo nell’alveo della Legittima Difesa secondo le norme vigenti della Legge Italiana. L’allenamento si svolge con una prima parte basata sul riscaldamento muscolare attraverso una serie di movimenti che puntano a migliorare la resistenza, la forza e la coordinazione motoria ed in una seconda fase dove si imparano specificatamente le tecniche di difesa che sfruttano la forza dell’aggressore per controllarlo e/o renderlo inoffensivo. 

Chiunque può praticarlo perché migliora i riflessi e il coordinamento motorio.

Il Jūjutsu

In molte arti marziali, oltre all'equilibrio del corpo, conta molto anche la forza di cui si dispone. Nel jūjutsu, invece, la forza della quale si necessita proviene dall'avversario: più si cerca di colpire forte, maggiore sarà la forza che si ritorcerà contro. Il principio, quindi, sta nell'applicare una determinata tecnica proprio nell'ultimo istante dell'attacco subito, con morbidezza e cedevolezza, in modo che l'avversario non si accorga di una difesa e trovi davanti a sé il vuoto.

Il ju jitsu (柔術, jūjutsu) è un'arte marziale giapponese il cui nome deriva da jū (o "jiu" secondo una traslitterazione più antica) ("flessibile", "cedevole", "morbido") e jitsu ("arte", "tecnica", "pratica"). Veniva talvolta chiamato anche taijutsu (arti del corpo) oppure yawara (Kun'yomi di jū). Il ju jitsu era praticato dai bushi (guerrieri), che se ne servivano per giungere all'annientamento fisico dei propri avversari, provocandone anche la morte, a mani nude o con armi; basa quindi i suoi principi sulle radici del nome originale giapponese: Hey yo shin kore do, ovvero "Il morbido vince il duro".

Il metodo Bianchi

La prima fugace apparizione del jūjutsu in Italia si deve a Pizzarola e Moscardelli, marinai della Regia Marina, che nel 1908 ne diedero una dimostrazione al Re; ma fu Gino Bianchi, un marinaio, che dopo quaranta anni, portò il jūjutsu in Italia.

Il Maestro Bianchi, già campione militare di Savate, era impegnato durante la Seconda guerra mondiale col contingente italiano nella colonia giapponese di Tien Sing in Cina dove venne a contatto col jūjutsu e, rimanendone colpito per l'efficacia, decise di diffonderlo una volta tornato in Italia.

L'opera di diffusione iniziò a Genova, dove il Maestro Bianchi insegnava gratuitamente a cinque o sei allievi nel difficile clima di ristrettezze del secondo dopoguerra; con la fine degli anni quaranta l'opera di diffusione del jūjutsu "stile Bianchi" procedette a pieno ritmo anche grazie alle varie dimostrazioni pubbliche svolte col gruppo dei Kaze Hito (uomini vento).

 

Negli anni cinquanta nasce l'O.L.D.J. che raggiungerà in breve tempo 5000 soci tesserati a molti dei quali si deve il proseguimento dell'opera del Maestro Bianchi dopo la sua scomparsa, avvenuta nel 1964. Dopo la scomparsa del Maestro, il "metodo Bianchi" è stato razionalizzato dal M° Rinaldo Orlandi che, con l'ingresso nel 1972 nella Federazione Italiana Karate (FIK) settore Ju Jitsu sotto l'egida CONI, organizzò le tecniche praticate in 5 gruppi di 20 tecniche.

I 5 gruppi presero i nomi delle prime cinque lettere dell'alfabeto e vennero chiamati settori.

  • Il settore A raggruppa tecniche che provocano sbilanciamento dell'avversario (atterramento) e un eventuale controllo al suolo.
  • Il settore B raggruppa tecniche dove è predominante la proiezione dell'avversario.
  • Il settore C raggruppa tecniche che mirano allo studio degli effetti di compressione e torsione articolare (cosiddette leve articolari).
  • Il settore D raggruppa tecniche che mirano alla resa o allo sbilanciamento dell'avversario agendo sul suo collo (strangolamenti e torsioni).
  • Il settore E raggruppa tecniche che sono la somma e il sunto dei precedenti gruppi.